Il cinema è un’invenzione senza futuro
Louis Lumière
La scrittura di Vittorini, sia quella narrativa che quella saggistica, rivela seppure nella discontinuità dell’ispirazione di ciascuna opera una costante estroversione verso il mondo che lo circonda e che sembra muoversi e trasformarsi a una velocità sempre maggiore, tanto da indurlo a un continuo lavoro di correzione e riscrittura. Il caso più emblematico è forse quello delle Donne di Messina, ma in generale si può dire che il problema del tempo (come sostiene Calvino nel saggio a lui dedicato sul numero 10 del Menabò, un anno dopo la sua morte) muova lo scrittore a «cancellare via via le date dalle proprie opere, accettando che ognuna porti una data d’inizio, prova della sua necessità storico-genetica, e aggiornando continuamente la data della fine, facendo sì che lo scrivere rincorra l’esser letto, cerchi di scavalcarlo» (Calvino 1995, pp. 172-173). Nell’ottica di questa gara contro il tempo si intendono dunque i continui ritorni sul già scritto o le interruzioni, ed è possibile leggere nell’insieme delle opere compiute e della grande quantità di frammenti la profonda coerenza nel modo tutto vittoriniano di vivere la letteratura come progetto, o meglio ancora come «raccolta di materiali per un progetto» (ivi, p. 60), come tensione continua dall’utopia alla sua progettazione.