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La figura di Goliarda Sapienza è da tempo oggetto di attenzione nei discorsi accademici, ma continua adagio e costante ad esercitare un fascino crescente anche sul pubblico contemporaneo. Merito non solo della sua voce, ribelle, solitaria, inafferrabile, ma anche di tre recenti interpretazioni artistiche, adattamenti delle sue opere, ciascuna legata a un momento distinto dell’esistenza sua o delle sue personagge. Dalla giovane Modesta nella serie tv L’arte della gioia, diretta da Valeria Golino, al travaglio psichico ed esistenziale di Il filo di mezzogiorno, portato in scena a teatro con una sceneggiatura a firma di Ippolita di Majo, fino al ritratto intimo e documentaristico di Fuori, regia di Mario Martone, questi tre lavori non solo riportano in vita l’opera di Sapienza, ma ne ricostruiscono la traiettoria umana, in un dialogo continuo tra biografia e finzione, tra immaginazione e verità. In questa analisi si intende attraversare tre momenti della vita di Sapienza, ciascuno riflesso in un’opera diversa, per osservare come la sua narrazione venga oggi re-inventata e restituita attraverso linguaggi e sensibilità differenti, rispondendo alle esigenze del nuovo pubblico.

Goliarda Sapienza has long been the subject of critical attention within academic discourse; nevertheless, her work continues to exert a growing appeal among contemporary audiences. This sustained and evolving interest can be attributed not only to the singularity of her literary voice, defiant, solitary, and elusive, but also to three recent artistic reinterpretations that adapt her writings and correspond to distinct moments in her life or in the lives of her protagonists. From the portrayal of the adolescent Modesta in the television series L’arte della gioia, directed by Valeria Golino, to the exploration of psychic and existential crisis in the stage adaptation of Il filo di mezzogiorno, written by Ippolita di Majo, and the intimate, documentary-style portrait offered in Fuori, directed by Mario Martone, these three works not only renew Sapienza’s presence in the cultural imagination but also reconstruct her existential and creative trajectory. Each adaptation establishes a complex dialogue between biography and fiction, memory and imagination, offering new ways of engaging with her legacy. Ultimately, this analysis seeks to show how these contemporary appropriations respond to shifting cultural sensibilities and to the evolving expectations of today’s audiences.

La fortuna transmediale delle opere di Goliarda Sapienza ha registrato una forte impennata, probabilmente per effetto del centenario celebrato nel 2024, e così nel breve scorcio di qualche anno è possibile annoverare una serie di traduzioni che rimettono in gioco la vis della sua scrittura. Tralasciando i tentativi più sperimentali, non privi di un certo interesse ma difficili da pedinare e inquadrare, questo contributo prova a fare i conti con le riduzioni più compiute, che hanno raggiunto un grado di maturità e di diffusione tale da accreditarle come testi a tutto tondo. Si tratta di una serie televisiva, uno spettacolo teatrale e un film, capaci di riattivare alcuni dei capitoli dell’autobiografia delle contraddizioni, ambiguamente in bilico tra cronaca, invenzione, testimonianza.

1. Riscrivere la gioia, dalla pagina al piccolo schermo

Secondo la prospettiva teorica di Linda Hutcheon, l’adattamento è una forma di ri-mediazione[1] e di ri-scrittura: un’opera seconda, ma non secondaria, che interpreta e reinventa la fonte attraverso un nuovo linguaggio.[2] In quest’ottica, la serie L’arte della gioia diretta da Valeria Golino si afferma come riedizione, a distanza di anni, di un’opera secondo criteri rinnovati. Non si limita a mostrare il romanzo, traducendolo semplicisticamente, ma ne rielabora profondamente l’architettura narrativa e l’immaginario simbolico.[3]

Opera fiume e visionaria, L’arte della gioia si è imposta negli anni come un oggetto letterario anomalo: un romanzo di formazione che è anche un trattato politico, una Bildung quadripartita, femminista, anarchica e queer ante litteram.[4] La dichiarazione di Valeria Golino riflette un personalissimo percorso di scoperta, riscoperta e maturazione nel suo rapporto con Goliarda Sapienza e con il suo romanzo.

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