1. Il corpo della madre, la voce della figlia
Le persone che amai e mi videro stanno andando via, e io non ho nessuna intenzione di vivere senza la mia storia. I nostri morti sono i testimoni di quello che vivemmo…E si può continuare a vivere senza la propria storia? Forse, ma è orribile; gli amici sono i testimoni del nostro essere vivi, ci videro vivere creando lo specchio delle nostre azioni.
Goliarda Sapienza, La mia parte di gioia. Taccuini 1989-1992
Le personagge di Maria Rosa Cutrufelli trovano spesso un radicamento tra le carte di archivi polverosi o sulle targhe memoriali scovate per caso e semi-dimenticate in qualche città di provincia. La sua ultima opera, intitolata Maria Giudice (2022), affronta un processo per molti versi contrario alla consueta pratica di scavo e rilegittimazione di figure femminili ben presente sin dall’esordio, con il romanzo di ambientazione risorgimentale La briganta (1990).
La ricostruzione narrativa della vita di Giudice presenta un movimento se possibile ancora più scandito da un’urgenza personale, ben innestata nel femminismo delle relazioni che contraddistingue Cutrufelli, i cui romanzi e racconti inscenano spesso rapporti di affinità e di alleanze tra donne, con l’effetto di sfaldare e aggiungere complessità alle certezze identitarie di ciascuna. Con Maria Giudice il punto di vista è quanto mai intimo e nutrito dell’esperienza personale dell’autrice: se al centro del racconto vi è una figura ben radicata nella storia del socialismo e delle lotte dei lavoratori in Italia – dunque un avvio autentico, verificabile dalle carte e dalle biografie storiche consultate – la vita della protagonista si concretizza e si riscatta anche a partire da più di un precedente letterario, intrecciandosi con il percorso stesso della narratrice che ne ricostruisce il filo.