[E]verything is illuminated in the light of the past. It is always along the side of us, on the inside, looking out. Like you say, inside out.

Liev Schreiber, Everything is Illuminated (Screenplay)

«“Compagno, chi è l’ultimo?” “Forse io, ma dietro di me c’è anche una signora con un cappotto blu”». Con questo scambio di battute, che apre il primo romanzo di Vladimir Georgievič Sorokin Očered’ (La coda, 1983), il lettore si trova subito catapultato in una delle più tipiche situazioni della quotidianità sovietica: fare la fila. Per cosa? Alle volte, nemmeno i personaggi, così come le persone nella vita reale, lo sapevano. Ma si stava in coda comunque, perché se questa si era formata c’era un valido motivo, e dunque esisteva una ragione per attendere. Con l’immancabile ‘avos’ka’ (‘borsa a rete’) in mano, si aspettava il proprio turno per comprare il latte, il pane, la ‘vobla’ (‘pesce essiccato’), il ‘farš’ (macinato utilizzato per polpette o per altre ricette). Accanto a inossidabili vecchietti le cui giacche erano (e sono, in rarissimi casi, ancora oggi) letteralmente invase da distintivi di ogni genere, si stava in piedi per ore per acquistare anche altre cose, come le ‘papirosy’ (‘sigarette’), la vodka (o, in assenza di questa, anche i profumi Krasnaja Moskva, Šipr o Trojnoj odekolon potevano andar bene), la ‘tualetnaja bumaga’ (‘carta igienica’), o i quasi indistruttibili ‘granenye stakany’ (‘bicchieri a faccette’). Un dato certo relativo al periodo sovietico prima, e alla perestrojka poi, è che in Urss vi era una penuria cronica di articoli di prima necessità. Il cibo e gli oggetti necessari nella vita quotidiana erano spesso assenti, e proprio per questo, quando invece c’era disponibilità, si creavano code infinite.

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