Preferisco il cinema.

[…]

Preferisco in amore gli anniversari non tondi,

da festeggiare ogni giorno.

[…]

Preferisco il tempo degli insetti a quello siderale.

W. SzymborskÄ…, Possibilità, 1986

 

1. Uno sguardo d’insieme

Sono trascorsi, d’un soffio, dieci anni dal primo pionieristico (ma timido) convegno su ‘Cinema e donne’ organizzato all’Università di Sassari: correva l’anno 2011 e il seme di quella rete di relazioni e di studi che oggi chiamiamo FAScinA era stato gettato, con la leggerezza, l’ingenua baldanza e la cura che caratterizzano i moti del desiderio. Da quel primigenio incontro sono scaturiti, negli anni successivi, progetti di ricerca, saggi su riviste e volumi, workshop e giornate di studio disseminate in molti Atenei italiani; e soprattutto da quel lontano confronto ha preso avvio il fitto network di ricerca che tiene insieme numerosissime studiose interessate a indagare il panorama del cinema e degli audiovisivi tenendo conto dei saperi, delle storie, delle soggettività e dei talenti delle donne. Tuttavia, dieci anni fa, a fronte di un contesto internazionale già assiduamente attraversato e vivificato da questo approccio, lo scenario italiano sembrava ancora refrattario: il territorio sul quale ci affacciavamo appariva come una landa vasta, addirittura sterminata, promettente come un Campo Lungo dove via via compaiono le prime incerte figure di una avventura che va prendendo forma. Sentieri selvaggi, appunto.

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Abstract: ITA | ENG

L’articolo indaga le potenzialità narrative della rappresentazione dell’inespressività femminile fra pittura, cinema, letteratura e fotografia. Si rintraccia la persistenza di una specifica iconografia, in cui viene raffigurato un soggetto femminile dallo sguardo generalmente inespressivo e in cui proprio l’inespressività del volto si fa fulcro nevralgico della rappresentazione. Accompagnata da una gestualità ripetitiva, l’inespressività si carica di una componente tanto narrativa quanto emotiva tale da portare alla definizione di una vera e propria Pathosformel. Viene proposto un excursus interpretativo sull’evoluzione di questa immagine a partire da un paradigma pittorico che si afferma con la pittura impressionista e post-impressionista del secondo Ottocento, sino ad uno più propriamente cinematografico. L’attenzione si focalizza soprattutto su questa seconda fase, analizzando le potenzialità narrative dell’inquadratura cinematografica all’interno di linguaggi non cinematografici attraverso l’analisi di alcuni case studies: l’opera pittorica di Edward Hopper, il romanzo Tra donne sole (1949) di Cesare Pavese e la serie di fotografie Untitled Film Stills (1977-80) di Cindy Sherman.

This article aims at investigating the narrative potential of the female expressionless across painting, cinema, literature and photography. A specific iconography will be retraced: the representation of a female subject characterized by an expressionless gaze. Usually accompanied by a repetitive gesture, the expressionless gaze becomes the very core of the representation, thus conveying narrative and emotional components. In light of this, the iconography of female expressionless will be defined as a Pathosformel. The article will provide an overview of the representation of female expressionless between two different paradigms: the first is a pictorial one, and it established in Impressionist and Post-impressionist paintings; the second is a more cinematic one, and it will be the major focus of the article. The narrative use of cinematic frames will be related to the representation of female expressionless in non-cinematic media, such as painting, literature and photography. The analysis will focus on three case studies: Edward Hopper’s works of art, the novel Tra donne sole by Cesare Pavese, and the photographic series Untitled Film Stills by Cindy Sherman. 

All’interno di questo articolo intraprenderemo un percorso di indagine sulle potenzialità narrative di un’immagine diffusa in mezzi artistici differenti: la raffigurazione di un soggetto femminile dallo sguardo generalmente inespressivo, in cui proprio l’inespressività del volto diventa fulcro nevralgico della rappresentazione. Caratterizzata da una gestualità ripetitiva, questa immagine si carica di tratti narrativi ed emotivi tali da condurci alla definizione di un’autentica Pathosformel.

Attraverso un excursus sull’evoluzione di questa immagine, ci muoveremo a partire da un paradigma pittorico, affermatosi con la pittura impressionista e post-impressionista del secondo Ottocento, per arrivare ad uno più propriamente cinematografico. Ci concentreremo soprattutto su questa seconda fase, in cui emergono le potenzialità narrative dell’inquadratura cinematografica all’interno di linguaggi non cinematografici, come la pittura, la letteratura e la fotografia. Verranno presi in esame alcuni case studies, in particolare l’opera pittorica di Edward Hopper, il romanzo Tra donne sole (1949) di Cesare Pavese e la serie di fotografie Untitled Film Stills (1977-80) di Cindy Sherman.

L’analisi degli elementi compositivi delle immagini avverrà in un’ottica culturale, con l’obiettivo di farne emergere le componenti narrative. Un discorso sulla rappresentazione del femminile all’interno della modernità accompagnerà tutta la riflessione: metteremo in relazione le immagini analizzate con i processi di emancipazione femminile in atto fra la fine dell’Ottocento e il Novecento, rintracciandone i diversi paradigmi rappresentativi.

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