A metà degli anni Sessanta, la cronaca della vita delle star italiane sui rotocalchi di maggiore diffusione popolare alimenta il radicamento di modelli di consumo che aspirano a emulare – senza toccarne le vette – quelli delle figure mediatiche maggiormente esposte.
Accogliendo la prospettiva dyeriana, secondo cui le star incarnano dialetticamente valori sociali dominanti e altri minacciati o in crisi (Dyer, 1979), l’immagine divistica di alcune attrici affermate del nostro cinema pare interpretare le contraddizioni del periodo di transizione dal miracolo economico (1958-1963) al «lungo sessantotto italiano» (1968-1970), effettuando una ‘riconciliazione magica’ di termini apparentemente incompatibili. È come se nella esibizione mediatica di un modus vivendi eccentrico e sontuoso, l’immagine di queste note attrici italiane sia stata definita attraverso antinomiche sfumature che rivelano tutta la complessità di un’epoca in via di trasformazione. Un’epoca in cui coesistono forzatamente vecchi schemi patriarcali e nuovi desideri di affermazione identitaria (Asquer, 2013). Useremo dunque il modello dyeriano per analizzare il modo in cui alcune di loro vengono mostrate quali manifestazione di tale evidente snodo problematico.
E assumeremo come focus della nostra indagine il racconto delle abitazioni di lusso di queste star, poiché ci sembra che nel resoconto della loro vita domestica si manifesti ontologicamente questa tensione. Non parliamo di case tradizionalmente borghesi, ma di luoghi inaccessibili ai comuni mortali, abitazioni sfarzose al punto da diventare iconiche quanto i personaggi che le abitano.