5. I poeti del dopo Montale

di

     

5.1. Giudici e Steffanoni: Le ore migliori

Le ore migliori. Due poesie di Giovanni Giudici e un’acquaforte firmata e numerata di Attilio Steffanoni è il terzo “Quaderno dei Poeti Illustrati” ed esce nel giugno 1967. Giudici è già il poeta de La vita in versi, il libro pubblicato nel 1965 da cui viene trascelta Le ore migliori. A seguire un inedito, L’età, come anticipazione di Autobiologia, il libro cui il poeta sta attendendo nell’anno cruciale del suo primo viaggio praghese e che uscirà nel 1969.

Più che un’illustrazione, l’acquaforte di Steffanoni (fig. 1) è un’interpretazione grafica de Le ore migliori: nella cappelluta ombra nera, divisa a tre quarti fra un disordinato interno domestico e l’esterno in cui un’utilitaria conduce al lavoro, s’indovina la figura di un uomo che è e non è lo stesso Giudici. È il poeta, quello che Mengaldo avrebbe definito «il più acuto e crudele poeta del capitalismo postbellico», ed è il suo personaggio o doppio, ovvero, per dirla con Zanzotto, quell’«uomo impiegatizio nella sua versione più tetra […], che, si nasconda nell’io nel tu o nel lui, è una caricatura del sé in quanto tipo, generalità. Un tipo […] tanto ovviamente ostile all’ordine del neocapitalismo quanto ovviamente succube dal punto di vista comportamentale». Quest’ambigua condotta sociale ha il suo esatto corrispettivo metrico nella gestione ironica delle forme istituzionali, cui è tributato l’ossequio menzognero di chi non muta le cose (siano esse i metri o la società) ma il proprio atteggiamento nei loro confronti. In questo senso si capisce perché il saggio La gestione ironica sia considerato dallo stesso Giudici «una proposta di comportamento globale».

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2.1. Leopardi ed Enotrio: La ginestra

di Alessandro Giammei

In un’ideale biblioteca in cui custodire tutto ciò che è passato per il torchio di Franco Riva, Leopardi avrebbe di certo un posto d’onore. Il gentiluomo di Verona, al culmine del tirocinio da dilettante, si arrischia a stamparlo per la prima volta solo dopo aver superato l’apprendistato della calcografia, dopo aver sudato sul primo mastodontico torchio e dopo aver imparato a governare quello più piccolo e versatile – ma al contempo meno affidabile – comprato a Monza nel 1956. La sua più antica collana di poesia, germe più tradizionale dei venturi “Poeti Illustrati”, era partita pochi anni prima con il primissimo libro commissionato e interamente confezionato a mano (God and all you people, del misterioso poeta americano E. Blair), quasi una prova generale in sessantacinque esemplari, ed aveva proseguito con l’elegantissima edizione in ottantasei copie delle Rime di Scipione Maffei pensata per il secondo centenario dalla morte nel 1955. Il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia è dunque il primo libro davvero ‘domenicale’ della serie “Gli Amici della Poesia” (evidentemente ispirata al riuscitissimo esperimento dei “Cento Amici” di Ojetti e De Marinis) e viene riprodotto in cento copie, con un frontespizio in nero e rosso la cui assoluta classicità è chiaramente influenzata dal modello di Mardersteig. Nel 1959, appena avviata la nuova collana dei “Poeti Illustrati”, Riva torna a stampare Leopardi (stavolta tre dei Canti) ma sceglie di nuovo la serie meno sperimentale, includendo l’incisione di un ritratto sul frontespizio e armonizzando con maestria il Garamond e il Janson, fino ad allora usato solo per i contemporanei (fatta eccezione per il primo volume della “Bibliotheca Veronensis”, una vita di San Zeno). Esiste poi un tardo foglio sciolto in cui i versi del più celebre idillio leopardiano sono adoperati per la prova di un set Garamond corpo 16 che sarà destinato a pochi, selezionati autori: solo Sereni, Giudici e gli europei (Rilke, Valéry, Mallarmé, Goethe) che richiedono l’uso di caratteri speciali.

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