Per molti artisti della generazione di Viola (New York, 1951), la tecnologia elettronica ha rappresentato una rivoluzionaria possibilità per lavorare con le immagini in movimento. Un’occasione straordinaria rispetto all’offerta data fino a quel momento dalla pellicola, materiale costoso e con una natura comunque statica. Con i suoi molteplici vantaggi – dovuti sia alla simultaneità e duttilità del segnale, che al supporto magnetico – la tecnologia elettronica ha aperto nuovi orizzonti di ricerca e conoscenza, con ripercussioni sorprendenti sulle dinamiche dello sguardo.
L’arte di Viola è parte di questo scenario, ma se ne è anche distinta, diventando un unicum nel contesto della sempre più numerosa famiglia videoartistica internazionale.
L’intero lavoro dell’artista statunitense, uomo colto e attento osservatore della propria epoca, ha tra gli elementi portanti una profonda e aggiornata conoscenza della tecnologia. Il suo utilizzo concorre a declinare una struttura, una forma e gli esiti estetici di una visione che in Viola assume i tratti di una pratica contemplativa. Contravvenendo agli schemi comunicativi dominanti, la visione di Viola è, infatti, innanzitutto un’«idea» al servizio della conoscenza. Per essere alimentata ha bisogno di scorrere lungo le linee del tempo, dello spazio e del sapere che, nelle varie indagini estetiche condotte dall’artista nell’arco della sua carriera, appaiono dilatati, potenziati e infranti nei rispettivi limiti. Inoltre, per essere condivisa, l’idea, o visione, necessita anche di essere tradotta in una forma adeguata, chiaramente accessibile e percepibile dallo spettatore.