Il film[1] in questione, in particolare, più dei successivi, ha saputo calamitare tante e diverse attenzioni, e diversi approcci critici, per la sua intensa e sapiente orchestrazione di elementi: la memoria, la famiglia, la perdita, l’elaborazione del lutto, il ritrovamento, il disagio, la relazione madre-figlia, la condizione femminile. Ma anche per la componente specificamente filmica: i film di famiglia, i film amatoriali, le riprese di vecchie carte, il tutto amorevolmente e dolorosamente ricomposto con rumori e musiche, che intessono una storia di decenni attraverso l’intreccio di suoni e di immagini della più diversa provenienza. Una storia, quella raccontata nel film – lo si è sottolineato spesso – che da privatissima qual era riesce a presentarsi e ad agire in modo potente e delicato sullo spettatore, in tutta la sua universalità.
Un cinema in qualche modo ‘saggistico’ per le tematiche che implica e che esplicita; un cinema poetico, che si allontana dalla categoria un po’ generica del found footage e costringe a ripensare le terminologie, avvicinandosi alla forma del ‘diario filmato’.[2]
La varietà di sguardi e di approcci al film (fra cui quello psicoanalitico) e l’importanza dei temi – o, come si diceva una volta, dei ‘contenuti’ – non avrebbe saputo attrarre tanta attenzione e scatenare tanta emozione se la tessitura formale fosse stata debole, frettolosa e incerta. Così non è stato, anche per l’addensarsi di una serie di elementi che l’autrice e la montatrice raccontano non solo nei numerosissimi incontri di presentazione del film ma anche nel libro che accompagna il dvd:[3] una gestazione lunghissima, l’intimità (della vicenda, ma anche quella stabilitasi nella convivenza con le immagini stesse), una adesione sofferta e partecipata, l’apporto di competenze e conoscenze adeguate alla delicatezza del tema, la ricchezza e qualità dei materiali trovati e il loro completamento con nuove riprese. Una tela, un arazzo a cui si è lavorato con la minuziosa attenzione a ogni dettaglio e con una capacità di temperare l’emozione con la lucidità, l’adesione esistenziale profonda con la necessità di un distanziamento, per così dire, anche ‘estetico’, teso a rendere ancora più efficace e autentica quell’adesione emotiva.