Experimental cinema has always been an art form in which women have excelled
Robin Blaetz, Women’s Experimental Cinema
La prevalenza del cinema narrativo sulla produzione sperimentale riguarda sia l’entità delle produzioni che l’elaborazione critica e storiografica; il cinema sperimentale è un fenomeno sotterraneo ma trasversale, che interseca diversi linguaggi e media visuali. Questa dimensione marginale e controculturale ne fa un settore in cui è possibile riscontrare più frequentemente una presenza femminile: alcuni dei più celebri esempi di film sperimentali sono il frutto della ricerca di artiste e filmmaker che operavano in circuiti indipendenti. Sono gli «spazi di una nuova e dirompente soggettività femminile» (Simi 2016, p. 298) a costituire l’orizzonte di nuove formule compositive fuori norma, all’intreccio fra identità collettiva e personale. Questo articolo tenta di raccontare l’opera di tre artiste contemporanee offrendo una lettura contestualizzata del loro lavoro: Kelly Egan, Rosalind Fowler, Esther Urlus.
Innanzitutto, una realtà estremamente interessante nel panorama audiovisivo contemporaneo è sicuramente quella dei laboratori d’artista entro cui queste filmmaker operano, poiché rappresenta un’occasione per sperimentare con il corpo del medium e riflettere sulla sua materialità. Difatti, questi laboratori rappresentano il luogo della riattualizzazione performativa della pellicola, secondo un approccio relativo all’archeologia dei media come pratica sperimentale. Sebbene i contemporanei spazi laboratoriali nascano con intenti ed ideali differenti, essi sono accomunati, da una parte, dalla volontà di guardare al futuro della vita materiale del film e, dall’altra, da quella di conservarne il passato e prolungarne la vita. Ed è proprio qui che attecchisce l’archeologia dei media: