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  • 'Paesaggi di vita'. Mito e racconto nel cinema documentario italiano (1948-1968) →
Abstract: ITA | ENG

Esiste una storia del Sud Italia attraverso le sue fotografie. O meglio, esiste un racconto fotografico del Sud Italia fatto di generi e forme molto diverse. A questo crocevia di idee, visioni, ricerche, si colloca Mario Cresci con la sua lunga opera fotografia dedicata al paesaggio lucano tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta. Partendo dalle prime fotografie scattate da Cresci a Tricarico (1966-1967) finalizzate alla realizzazione del piano regolatore cittadino e arrivando alla documentazione di Viaggio in Italia (1984), il saggio si propone di tracciare un fil rouge in questa documentazione fondata su studi multidisciplinari e sulla commistione tra sguardo da outsider e sguardo da insider, dato che il fotografo ligure a un certo punto sceglie di vivere in Basilicata.

There is a history of southern Italy through its photographs. Or rather, there is a photographic narrative of southern Italy made up of very different genres and forms. Mario Cresci can be placed at this crossroads of ideas, visions, and research because of his long photographic work on the Lucanian landscape between the late 1960s and the late 1980s. From his first pictures taken in Tricarico (1966-1967) for the city's urban development plan to the pictures included in Viaggio in Italia (1984), the essay aims to trace a common thread in this photographic work based on multidisciplinary studies and on the combination of an outsider's and both an insider's gaze, since at one point the Ligurian photographer chooses to live in Basilicata.

 

Esiste una storia del Sud Italia attraverso le sue fotografie. O meglio, esiste un racconto fotografico del Sud Italia. Dal Grand Tour alla fotografia contemporanea, il Meridione è stato oggetto di due sguardi: quello dell’osservatore esterno (outsider, il fotografo straniero o italiano non appartenente al luogo) e quello dell’osservatore interno (insider, il fotografo che appartiene al luogo). Nel primo caso rientrano vari protagonisti della storia della fotografia: da Wilhelm von Gloeden a Steve McCurry, passando per i Fratelli Alinari, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, Thomas Hoepker, Josef Koudelka, Nino Migliori, Lisetta Carmi, Paolo Monti, ecc.. Il secondo caso si divide tra ricerche territoriali già note (Letizia Battaglia, Mimmo Jodice, Antonio Biasucci, Carmelo Nicosia, ecc.) e altre ancora da scoprire (i fondi fotografici non archiviati e valorizzati). Si tratta di approcci diversi – documentarismo, ricerca etnografica, reportage, concettualismo – e spesso interdisciplinari – scienza e fotografia (Ernesto De Martino), scrittura e immagini (Seymour e Carlo Levi), cooperazione tra fotografi (l’emblematico Viaggio in Italia di Luigi Ghirri).

A questo crocevia di idee, visioni, ricerche si colloca Mario Cresci con la sua lunga opera fotografica dedicata al paesaggio lucano tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta (Quintavalle 2019). Un’opera fondata su «studi multidisciplinari» (Cresci 2024) e sulla commistione tra sguardo da outsider e sguardo da insider, dato che il fotografo ligure (nato a Chiavari nel 1942), formatosi a Venezia (Corso Superiore di Disegno Industriale dal 1964), a un certo punto sceglie di vivere in Basilicata (tra il 1974 e il 1990 circa).

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L’articolo analizza il film di Vittorio De Seta I dimenticati del 1959 sulle feste dell'Abete e di Sant’Alessandro in Calabria. L’analisi si focalizza in particolare sul rapporto tra il paesaggio ripreso, le attività rituali e le modalità di ripresa della comunità. La cifra dell’operazione di De Seta risiede nella rivendicazione della ‘dignità della cultura’ attraverso una ‘drammaturgia creativa’ dell’esistenza di un paese del meridione di Italia allora senza strade e lasciato indietro rispetto al miracolo economico.

The article analyses Vittorio De Seta's 1959 film I dimenticati on the festivities of Abete and Sant’Alessandro in Calabria. The analysis focuses in particular on the relationship between the depicted landscape, the ritual activities and the way the community is filmed. The essence of De Seta’s work lies in the claim of the ‘dignity of culture’ through a ‘creative dramaturgy’ of the existence of a town in southern Italy that was then without roads and left behind by the economic miracle.

 

 

Nel 1959 De Seta realizza I dimenticati, cortometraggio che documenta le feste dell’Abete e di Sant’Alessandro con cui Alessandria del Carretto, paese dell’alto Ionio cosentino, celebra l’inizio della primavera (Fofi, Volpi 1999). In una prima fase, un gruppo di abitanti si reca in altura, dove un grosso abete viene abbattuto e trasportato fino al paese, mentre altri approntano cesti di libagioni. Viene poi predisposto un mercato per finanziare la festa del santo attraverso la vendita dei prodotti locali. L’abete viene infine issato nella piazza di fronte alla chiesa e la sua cima addobbata come una cuccagna. Si dà il via a una gara di arrampicata, che vedrà vincitore – come documenta De Seta – chi riuscirà a scalare il tronco fin su in cima. Al termine del rito annuale, la comunità farà ritorno alla vita di ogni giorno.

I dimenticati ha per oggetto la festa, dimensione che spezza l’andamento quotidiano del tempo, sebbene celebri proprio l’operare comune e durevole di una comunità. È infatti la vita collettiva e quotidiana a sostenere il rito, versione drammaturgica di un patto comunitario (Peirano 2000; Turner 1975). La festa afferma dunque una cosmologia e una struttura sociale nel mettere in scena una narrazione: in questo caso, quella della conquista del limen arboreo del mondo naturale, forse il nucleo tematico più evidente de I dimenticati.

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L’origine della capacità di costruire storie dell’Homo sapiens, a partire dalle teorie darwiniane, ha dato vita a diverse ipotesi che provano a spiegare come il comportamento narrativo possa avere avvantaggiato il genere umano tra tutte le specie, fino a farne l’indiscusso signore del pianeta. Il libro di Michele Cometa, Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria (Milano, Raffaello Cortina Editore, 2017), nasce in primo luogo dunque nel tentativo di dare una risposta all’interrogativo posto dal titolo, cioè indagare sulle condizioni e le modalità attraverso le quali la narrazione, la fiction e la letteratura possono essere collocate e comprese entro i paradigmi della teoria dell’evoluzione e delle scienze cognitive, prendendo le mosse da recenti acquisizioni dell’archeologia cognitiva che mettono in relazione la produzione di utensili e lo sviluppo di capacità narrative.

L’innovativa prospettiva dello studio di Cometa propone, inoltre, una riflessione sul perché la narrazione abbia un ruolo decisivo nella costituzione del Sé e delle sue protesi esterne, e sulle possibili risposte che a questa domanda danno i teorici della mente estesa e della cognizione incarnata, mettendo in evidenza il ruolo fondamentale del corpo nello sviluppo del comportamento narrativo. Un contributo importante riguarda inoltre la dimensione necessaria della letteratura come straordinario dispositivo di contenimento dell’ansia, che è alla base della strategia di sopravvivenza della specie umana.

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Riprese video: Salvo Arcidiacono e Luca Zarbano; Riprese audio e musica: Luca Zarbano Montaggio: Giulio Barbagallo; Grafica e Animazioni: Gaetano Tribulato

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