La realtà di Pinocchio è popolata di forme mutevoli, instabili, in continuo divenire. I personaggi che il burattino incontra nella sua quête assumono, nei reiterati incontri fra le pagine del romanzo, sembianze differenti, di volta in volta rinnovate – complice anche la genesi dell’opera – per opera di magia (come nel caso delle simboliche apparizioni della Fata) o di travestimento (la Volpe e il Gatto, mascherati da assassini), per dissolvimento dell’involucro corporeo (l’ombra del Grillo parlante) o per gli effetti di un destino luttuoso (Lucignolo). Lo stesso Pinocchio, soprattutto, è soggetto a continue trasformazioni: ‘animale da fuga’, come scrive Manganelli, fin dall’esordio il burattino trascende la condizione di pezzo di legno da catasta per affacciarsi alle soglie dell’umanità, ed è esposto lungo la narrazione alla forza attrattiva o repulsiva di altre possibilità e condizioni di esistenza. Una volta allontanatosi da casa, Pinocchio viene riconosciuto come fratello dalla compagnia ‘drammatico-vegetale’ del teatro di Mangiafoco, è costretto a fare il cane da guardia, subisce la metamorfosi asinina destinata a chi soggiorna nel Paese dei Balocchi, si sveste della propria pelle animalesca per ritornare burattino grazie all’aiuto della Fata, viene scambiato per un granchio e per un pesce-burattino dal pescatore verde, e infine, dopo un’ulteriore degradazione bestiale al servizio di un ortolano, abbandona le proprie spoglie legnose per rinascere bambino. Nel corso delle Avventure il suo corpo si definisce come forma plurale, aperta al desiderio ma anche esposta all’asservimento. Diventare appare così un termine chiave nel romanzo, che ricorre a più riprese in relazione sia alle membra di Pinocchio (il naso, che «diventò in pochi minuti un nasone che non finiva mai», i piedi, che dopo aver preso fuoco «diventarono cenere», le orecchie che, crescendo, «diventavano pelose verso la cima», le braccia e il volto che, durante la trasformazione in asino, «diventarono zampe [...] e muso»), sia al suo status («Perché io oggi sono diventato un gran signore»; «il povero Pinocchio [...] sentì che era destinato a diventare un tamburo»), sia agli oggetti che potrebbero giovargli e che invece gli sfuggono di mano (gli zecchini, che si immagina «potrebbero diventare mille e duemila», o il battente sulla porta della casa della Fata, che «diventò a un tratto un’anguilla»). E via via che le Avventure si approssimano alla loro conclusione, la frequenza del termine aumenta, così nel testo come negli argomenti premessi ai singoli capitoli, a segnalare la duplice e compendiosa polarità della metamorfosi asinina e del raggiungimento della condizione umana, e a scandire la progressione inesorabile verso la comparsa finale, più volte prefigurata, del Pinocchio-bambino e la definitiva stasi del suo alter ego ligneo.
Promossa dal Comune di Milano, prodotta e realizzata da Palazzo Reale e Studio Azzurro, con la collaborazione di Arthemisia Group, il 4 settembre 2016 si è conclusa Studio Azzurro. immagini sensibili,[1] la «retroprospettiva» omaggio della città meneghina a una delle massime realtà della scena artistica contemporanea; e anche doveroso tributo al suo indimenticabile teorico, Paolo Rosa, portato via troppo presto da un infarto, nell’agosto del 2013.
Inaugurato lo scorso 9 aprile, il percorso espositivo si è snodato tra le quattordici sale più prestigiose di Palazzo Reale ed è stato articolato come un viaggio in un’ampia parte dell’immaginario di Studio Azzurro, che lo ha filtrato attraverso il proprio sguardo ed enucleato principalmente intorno a nove opere rappresentative, scelte come tappe nodali di una storia colta in divenire – ‘retro-prospettica’, appunto – e trasformatasi nel tempo.
Al contempo, però, Studio Azzurro, immagini sensibili ha offerto anche la possibilità di ripercorrere quasi integralmente l’intera sperimentazione del gruppo, compresa quella teatrale, affidandola in forma di videodocumentazione a monitor e proiezioni distribuiti su cinque sale tematiche. Ogni sala, inoltre, è stata corredata da pannelli illustrativi con sopra riprodotta una selezione di immagini, disegni di progetti e note relative; un apparato arricchente, andato nettamente al di là dell’esclusiva funzione didascalica.
La storia formale di Studio Azzurro comincia a Milano nel 1982. A fondarlo, unendo diverse competenze, sono Fabio Cirifino (fotografia), Paolo Rosa (arti visive e cinema) e Leonardo Sangiorgi (grafica e animazione) che, di fatto, lavoravano insieme già da alcuni anni, dalla realizzazione del film Facce di festa (1979).