Terra fertile, ctonia, madre, luogo geografico dove affondare le radici o essere estirpati.Così, Raíces(2015) è la performance proposta da Regina José Galindo nella giornata europea sull’immigrazione, in cui l’artista si abbarbica per ore con il suo corpo nudo ai piedi del rizoma di un albero dell’Orto Botanico di Palermo,affondando gli arti nella profondità del terriccio per celebrare un rituale di fusione uomo-natura,avente lo scopo di innescare una riflessione sul rapporto con la terra, le origini, lo sradicamento [fig. 1].
La terra, elemento organicoe simbolico, è infatti il cuore pulsante dell’intero lavoro di Galindo, che scandaglia il concetto di identità da un’ottica femminista, postcoloniale e intersezionale, evidenziando per tal via la correlazione tra genere, razza e classe sociale.
1. Performance e intersezionalità
Regina si afferma nella scena internazionale con il video sperimentale Himenoplastia (2005),grazie al quale vince il Leone d’oro alla Biennale di Venezia [fig. 2]. Il video è incentrato sulla ricostruzione chirurgica dell’imene dell’artista, che sceglie di sottoporsi a una crudele operazione per denunciare gli assurdi dettami del patriarcato, secondo cui la verginità è il diktat che ogni donna deve ossequiare per essere considerata rispettabile.Tuttavia, a essere chiamato in causa da Galindo non è il patriarcatoin senso lato, bensìlo specifico regime di potere patriarcale del Guatamemala, propugnato in primis da un militarismo che esercita una sistematica violenza sulle donne, in particolare sulle donne indigene, secolarmente vessate da un passato coloniale.