«Se ad un musicista togli lo strumento, ciò che rimane è un danzatore: il movimento delle braccia, gli spostamenti, i gesti…tutto concorre a generare l’azione visiva di un performer»
Salvatore Romania, a proposito di Pixel
Tre pulsazioni, tre musicisti, tre performer posti ai vertici di due triangoli, immersi l’uno nell’altro. Questo lo sguardo inziale su Pixel, che rivela immediatamente il proprio omaggio alla perfezione simbolica del numero tre, ribadito dalle prime protagoniste sulla scena durante il buio in sala: le luci del metronomo digitale che alternano una sfera verde a due rosse. One, two, three, One, two, three, e i puntatori illuminano il palco rendendo manifesti due triangoli che s’abbracciano: nel primo figurano i danzatori Salvatore Romania, Valeria Ferrante, Claudia Bertuccelli e nel secondo i musicisti Alessandro Borgia, Salvo Amore, Michele Conti. Stop! metronomo tacet. I timpani immergono ogni cosa in un’atmosfera tribale: a tratti tellurici sovrappongono linee morbide e agili coi tak della darbuka e gli slap sul djembe, mentre i danzatori disegnano, con le loro sagome, lunghi binari nell’aria, marciando su solchi invisibili all’interno del proprio triangolo. Divorano lo spazio a ogni falcata. È pura potenza mescolata a grazia ed eleganza; i ritmi musicali, modulando di metro in metro, determinano cadenze incerte e spezzate che non risolvono.