Nel vasto perimetro dell’autobiografia, ormai canonizzato da un’ampia mole di studi, costituisce quasi un ambito a sé il filone delle autobiografie d’artista, diffuso a partire dalle memorie ottocentesche di cantanti e attori. Dopo aver calcato a lungo le scene e aver ricevuto omaggi dai pubblici di tutti le latitudini in patria e all’estero, la prima donna e il grande attore avvertono l’esigenza di affidare alla penna il proprio autoritratto: da un lato, essi vogliono tramandare ai posteri un ricordo di sé che oltrepassi le tracce effimere della loro attività (locandine e programmi di sala, cartoline e medaglioni, articoli sulla stampa); dall’altro intendono disegnare un profilo unitario della propria persona, parcellizzata e anzi smembrata da continue tournée e cambiamenti di repertorio; infine, in quanto divi continuamente esposti al giudizio e al pettegolezzo altrui, mirano a offrire la propria verità su se stessi, controbilanciando l’influenza e la pretestuosità di discorsi eterodiretti.
Ciò che però informa tutta l’argomentazione è l’obiettivo cui tende il testo: costruire un’identità narrativa di artista a cui sottomettere la scelta degli episodi narrati e il tono con cui riferirli. Memorie, autobiografie, ricordi sparsi, in qualsiasi forma si presentino, vanno a comporre un autoritratto su misurada consegnare ai posteri. Ne consegue che l’autobiografia d’artista è spesso – per usare la metafora di Rousseau su Montaigne (Lavagetto 2002) – un ritratto ‘di profilo’, poco incline alla confessione (che invece apre squarci su aspetti nascosti o irrisolti, problematici o dolorosi) e tale da attenuare o tacere i difetti di chi parla; un autoritratto messo in forma secondo le aspettative del pubblico. Il patto autobiografico (Lejeune 1986) con il lettore sottende questa ambiguità, per cui – a differenza di quanto accade per letterati e poeti – gli scritti memoriali in prima persona di artisti, la cui immagine pubblica è continuamente esposta alla costruzione dei media, sono frutto (con poche e ‘moderne’ eccezioni) di una autobiographic narrative persona, una sorta di mediazione tra la star persona, ossia il personaggio pubblico dell’attore, e il sé privato, una proiezione che sia compatibile con entrambi e che sia tale da non sconfessarli, pena la perdita dell’alleanza con i lettori o con i fan. Ne è prova il fatto che chi scrive è solito conservare il nome d’arte per rendere subito riconoscibile il proprio personaggio.